• La Via

    Topic: Landscapes/Cityscapes By Alberto Schiavone

    Via Padova

     

    Alberto Schiavone, a young Italian author, writes about Via Padova, a street extending through an immigrant neighborhood in Milan, and where the tensions between ethnic groups sometimes turn into street fights.  Old and young residents of the city are struggling to cope with the demographic changes brought about by the waves of immigrants from foreign countries. Immigration is a recent phenomenon in Italy, a country that for more than a century exported labor. Via Padova represents the changing mosaics of Italy’s cities, and the tension that arises through urban transformation.

    Read the English translation here. La signora (italiana) sull’autobus mi dice che non sembra nemmeno di stare in Italia. Sparge lo sguardo intorno, tentando di trascinarvi anche il mio. Desisto, è la mia fermata. Sapevo di trovarmi in una zona piena di immigrati. Perlopiù, in quel segmento, nordafricani. Essendo nato e cresciuto a Torino la prossimità con il Maghreb non mi spaventava. Nemmeno attraeva, a dire la verità. Non ho l’attrazione esotica che riscontro spesso nei miei coetanei per stazionare nei quartieri ad alto tasso di spezie. D’altronde non ho nessun senso di colpa razzista da mettere a tacere, e la cosa non mi ha mai preoccupato. Ma non è questo il luogo per discuterne. Ciò che mi respirava intorno comunque era un dato di fatto. Nient’altro. Su Via Padova e dintorni avevo letto qualcosa negli anni precedenti, perché lì c’era stata una sorta di rissa collettiva (chiamata dai giornalisti “rivolta”), in seguito a una rissa a due finita male, con la morte di un ragazzo (egiziano). Se ne era discusso parecchio, con il solito e proficuo spargimento di fiaccolate, interviste, pamphlet, banalità. Io comunque in Via Padova mi ci trovavo bene, nonostante da troppe finestre provenisse la voce di Laura Pausini. Avevo provato il barbiere di fronte a casa (marocchino) ma non sapeva tagliare i capelli. Compravo le birre dal pakistano, che a volte provava a fregarmi con il resto. A volte bevevo il caffè dai cinesi. Fumavo sigarette statunitensi. La cosa che più mi disturbava di quell’appartamento era però ( oltre alla condivisione,  di cui non sono sostenitore) il fatto di avere la finestra sopra un garage. Nulla di terribile, se non fosse che un tizio (italiano) faceva particolarmente rumore con la sua auto dalla marmitta esuberante. E che poi si fermava a parlare con la sua fidanzata lasciando l’auto accesa. E che poi frequentemente ambedue parlavano al telefono urlando. Non so con chi. Tutte le notti. Era un tizio con cui non c’era discorso sicché, presa la decisione di restare a Milano, mi cercai un altro appartamento, questa volta da solo. Per puro caso lo trovai a millecinquecento metri di distanza. Un bilocale. Carino, piccino, forse troppo. Dopo due giorni che ci abitavo arrivarono i nuovi vicini, tre ragazzi (italiani) che ascoltavano musica neomelodica napoletana ad alto volume e che litigavano sempre tra di loro. Anche con loro non c’era molto da discutere, così ne parlai con il proprietario, che mi disse che con quelli lì non c’era molto da discutere. In quel periodo feci per la prima volta due cose: usare per qualche notte i tappi per le orecchie e uscire alle sei del mattino in mutande sul pianerottolo brandendo un martello per far zittire i vicini. Me ne sono andato anche da questo secondo appartamento milanese. Per puro caso ho trovato casa a settecento metri di distanza. Di fatto mi sono spostato in un raggio di un paio di chilometri, procedendo a zig zag. Adesso vivo nuovamente di fianco a Via Padova, ancora più lontano dal centro di quanto fossi inizialmente. Qui è terra di mezzo, e non esiste ceppo etnico che prevale. I bar certamente son tutti cinesi. Le macchinette macina soldi all’interno pare siano un business della malavita italiana. Un dentista è romeno. I pakistani hanno il negozio da pakistani. I citofoni sono slavi. I ristoranti sudamericani. Un kebabaro ogni tanto (uno dei quali non mi vedrà mai più perché mi ha rifilato cibo riscaldato). L’osteria sarda. I giornalai invece sono tutti italiani, e questa è una cosa non facile da spiegare. Come non facile da spiegare è che gli italiani sono perlopiù anziani, o grassi, o tutte e due insieme, e questa è una cosa che mi ha fatto notare un mio amico (croato) e che in effetti da allora osservo con attenzione. Alcune categorie di italiani eccellono in quanto a rappresentatività, come i poliziotti e i taxisti.  Parliamo degli italiani che vivono ai lati, certo, perché poi quando vai in centro trovi gli italiani magri e che usano l’Ipad e qualcuno che legge anche un libro. Ormai posso dirmi abitante di Via Padova, anche se il mio segmento in realtà si chiama Ponte Nuovo, o Naviglio Martesana, o addirittura Nord Est per i meno curiosi. È capitato anche a me di prendere il taxi per tornare a casa e sentirmi fare delle battute. I taxisti sono tra quelli che si guardano intorno e poi dicono che non gli sembra di stare in Italia. Altresì quando vivevo a Madrid un taxista mi aveva chiesto se poteva masturbarsi, perché lo eccitavo, quindi l’abitacolo non mi ha mai turbato eccessivamente. Ma non è questo il luogo per discuterne. Mi è capitato di incontrare tante persone, soprattutto giovani, entusiaste dell’idea di abitare in Via Padova, ma che nel frattempo si adattavano a stare ovunque tranne che in Via Padova. Perché poi la contraddizione è da vivere, quotidianamente. Come lo stereotipo. E il kebab puzza, la minigonna è da puttana, gli slavi bevono troppo. E gli italiani sono grassi. Raramente in Via Padova capita di incontrare qualcuno di famoso con cui farsi una foto da pubblicare sui social. Qui girano pochi hipster. Nessuna modella. Non esistono vetrine equo solidali. Il Naviglio Martesana da mesi è chiuso, asciutto, per lavori di pulitura. Oppure come mi ha detto qualche giorno fa un vecchio (italiano): perché vi stanno cercando Aldo Moro. L’altra domenica sono stato a comprare una pistola per il silicone all’ipermercato cinese, perché mi perdeva il water e c’era solo l’ipermercato cinese, aperto. Per soli due euro e cinquanta me la sono portata a casa. Si è rotta dopo due spinte, e il mio water ha continuato a perdere. Lunedì ho comprato il silicone in tubetto, che consiglio. Quando vado in centro a volte prendo l’autobus 56, che percorre Via Padova per intero. Lentamente, come una bestia da soma. Ma è il modo migliore per osservarla, Via Padova, sempre che non si vogliano fare i suoi quattro o cinque chilometri a piedi (consigliato, comunque). Poi in Piazzale Loreto si incrocia la metro, e allora iniziano gli italiani magri e i marciapiedi un poco più puliti. E se si prosegue sempre dritto si arriva in Porta Venezia, qui gli italiani iniziano anche a crescere di statura, e ancora dritti siamo dentro il quadrilatero della moda, qui gli uomini sono alti due metri. Si arriva allora alla Scala, dove qualche settimana fa si è tenuto un concerto in onore di Claudio Abbado. La Scala era vuota, dentro soltanto l’orchestra. E fuori le casse che spargevano la Marcia Funebre di Beethoven per la piazza. Tutti in silenzio, un momento magnifico. Una signora (italiana e milanese) mentre ci stavamo disperdendo mi ha detto che le era sembrato di stare in un paese come si deve. Ho pensato di chiederle se le sembrava di stare in Italia. Ma non era il luogo giusto per discuterne, così me ne sono tornato in Via Padova.

    Piazza Scala, Concerto per Claudio Abbado, 27 gennaio 2014

    Alberto Schiavone  is a young Italian author living in Milan. He published two novels, La Mischia and La Libreria dell’ Armadillo.